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Rimando


Poesie vincitrici

Prima classificata

La donna del violino
Ricordi dal Gulag


Cadevano fiocchi di neve
Uno per uno e tutti assieme
E si posavano silenti su dita, che
Tra l’immenso confinato da pietre
Suonavano un violino immaginario
Del quale toccavano gentili
Le corde, con gesti che si ripetevano
Maestosi e le palpebre abbassate
In ascolto di note, cullate
Tra le braccia della memoria
Dove ritrovare antichi ricordi
Dal sapore virgineo ed ingenuo
Ai quali sorridevano appena
Le sue timide labbra
E poi una lacrima, dietro le ciglia
Posate, una lacrima ed una soltanto
Che bagnava quelle dita che
Sferzavano il profumo di un cielo
A noi sconosciuto, senza che lo
Possedessero mai
Dita che lambivano la fragilità
Di quell’istante, nel quale pareva che lei
Danzasse tra i fiocchi di neve instancabili, che
Cadevano uno per uno e tutti assieme
Cogliendo la verità del dolore taciuto
Che soltanto lei, la donna del violino
Era capace di non sporcare mai
Nemmeno là tra quell’immenso, che
Fu privato della propria identità.
                        Davide Rocco Colacrai
Motivazione della giuria: Una trama di ricordi pregna di suoni e di gesti lenti, di stagioni e di sapori toccanti, in cui il patire si confonde con la danza della neve e la dignità umana rivive nelle dita della donna del violino. Ella è l’immagine di un candore intatto e di una verità indomabile. La lirica è un lungo respiro senza pause e deviazioni, un affranto e tenace grido di vittoria nella “fragilità / di quell’istante”, nel “dolore taciuto”, nel “profumo di un cielo / a noi sconosciuto”. I versi, nella loro dolente scansione, sanno ricostruire una mirabile fusione fra cielo e umanità,
immenso e "identità".
Tiziana Soressi



Seconda classificata

Treno del sud

Al sud correva un treno divorando
assolate stazioni
gallerie
ed oltre il finestrino una campagna
azzurrità di monti in lontananza.
Inseguiva il crepuscolo quel treno
in ovattato volo in braccio al vento
dimentiche le vampe del meriggio
su pietre e argille sottomesse al cielo.
Ovattate parole
un dondolare
come di culla consegnata al sonno.
Un fischio talvolta a marcare il silenzio.
Dai borghi lampioni mandavano baci.
E calava la sera su quel treno
in un cappotto tenero di stelle
sull'ultimo vagone che lasciava
tre papaveri
rossi
sui binari.
Poi l'incarnato bruno della notte
nell'alba gradualmente scolorava.
Di là dai vetri fuga di ginestre.
Di zagara l'odore prepotente.
E il tuo paese ti correva incontro.
                                 Loriana Capecchi
Motivazione della giuria: Ci sono poeti pittori che nei loro tratti, ossia con le parole, ricordano un mondo che per esserci congeniale ci è anche pur tanto misteriosamente ignoto. In verità senza fissa dimora, i ricordi e le immagini dell'autoreci indicano soprattutto il bianco ed il bianco è l'insieme di tutti colori. 
L'invito ad una personale interpretazione del lettore non è necessariamente comodo così come  potrebbe risultare scomoda la definizione della pazzia. E se "il dito puntato verso il cielo" fosse un monito? Magari alla libertà del pensiero, "matto" e non?
Ringraziamo il poeta per i dubbi, le immagini ed il mistero.
Stefanie Kimmich


Terza classificata

Matti

Qui
nel tempo della mia infanzia
i matti escono da cancello dei ricordi
con i santi imparati a memoria
sul calendario dell'anima
e la faccia in prestito di Celentano
ma io ricordo una matta
che aveva un vestito bianco
con una bandana in testa
e il viso pallido e stanco
che restava immobile sulla strada
ferma sulla linea di mezzeria
come fosse un dito
puntato verso il cielo
                        Raffaele Rigamonti
Motivazione della giuria: Un treno che trasporta nostalgia. Il nostalgico autore viaggia di notte. Di
notte in treno si può anche dormire. Ma prima di dormire l'autore vive per poi trasmetterci una serie di vibranti sensazioni. Intanto quel treno lo conduce ad abbracciare il suo paese. Un componimento intensamente vissuto, intensamente condiviso.
Orazio Caliandro.




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